Applicazione del concetto di reintermediazione
La reintermediazione può essere definita come la reintroduzione di un intermediario tra gli utenti finali ossia i consumatori e un produttore. La progressiva diffusione del commercio elettronico ha sollevato un intenso dibattito sull'evoluzione delle funzioni d'intermediazione e sul loro permanere quali caratteristiche strutturali nei mercati elettronici. Mentre secondo alcuni l'introduzione delle nuove tecnologie avrebbero condotto ad una definitiva scomparsa dei processi di intermediazione, altri esperti hanno sostenuto che, in realtà, Internet ricrea nuove figure e ruoli d'intermediazione, a diversa intensità di funzione commerciale, inseriti in diversi punti del canale, come Amazon, eBay o TripAdvisor. Queste nuove figure di intermediari sono state definite da John Hagel III e Marc Singer nel loro libro
Net Worth
con il neologismo i
Infomediari. L'infomediario è ogni attore sociale e economico che all'interno della Rete gestisce il flusso di informazioni (come ad esempio i dati dei consumatori, le abitudini d'acquisto, la disponibilità delle merci presso i fornitori) con l'obiettivo di facilitare l'incontro tra domanda e offerta di prodotti e servizi. Da un lato l'infomediario consente ai clienti di ovviare al problema dell'overload informativo, offrendogli ricerche mirate sulla base dei loro interessi di acquisto; dall'altro, l'infomediario consente alle aziende di avere accesso ai dati e alle abitudini di consumo dei clienti stessi per scopi commerciali. L'infomediario è diventata una delle figure centrali dell'economia del Web, e del Web 2.0 in particolar modo, sempre più integrato nei sistemi interni di gestione aziendale e di produzione. La differenza tra gli infomarketer e l'infomediario sta nell'etica dell'informazioni condivise tramite le piattaforme online. L’infomarketing è una declinazione del web marketing rivolta a vendere prodotti informativi in rete, definiti appunto
“info prodotti”,
in formato digitale: ebook, video, webinar, corsi formativi ecc. In genere i prodotti di maggior valore sono quelli che non è facile o possibile trovare in rete, ad esempio coaching basati sull’esperienza di professionisti specializzati, che sono in grado di apportare sensibili miglioramenti alla vita degli acquirenti: gli infomediari è oggi confuso con la qualifica professione di '”influcencer”, è una storpiatura dei “big player” quelle multinazionali dei dati – le sette sorelle - che oggi gestiscono la maggior parte dei dati che circolano sulla rete mondiale: gli influencer sono testimonial pagati da aziende per vendere infoprodotti e consulenze, gli infomediari fanno il contrario, “puliscono” i dati dalla melma digitale ed estraggono dati di valore per la co-creazione di nuovi modelli di fare economia, collaborativa, civile, sostenibile. Un disintermediatore digitale che come un hacker si infiltra in sistemi economici corrotti per proporre al mercato esistente nuove iniziative economiche con un obiettivo unico e condiviso: il progresso sostenibile.
CORTILIA
esempio italiano di abbattimento dei costi nel campo agricolo
Uno degli effetti maggiori della disintermediazione è l'abbattimento dei costi, dovuti alla mancanza dei rincari che ciascun intermediario applica sul valore della merce. Un esempio italiano di abbattimento dei costi nel settore agroalimentare 4.0 è quello di Cortilia, nata in Lombardia nel 2013 come mercato virtuale che porta a casa dei clienti, che ordinano on-line, frutta e verdura prodotta dall'azienda agricola più vicina al luogo di consegna. Salta l'intermediazione grazie agli strumenti forniti dal web 3.0 – in alcune zone della Sicilia – per esempio – non ancora coperte dalla rete 4G non sarebbe stato possibile attivare un servizio come Cortilia. Il fenomeno che la include è il farmers market, nato a New York, dove se ne contano oltre 170, ma si è ormai diffuso in Italia, tanto che la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti, la Coldiretti la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell'agricoltura italiana ha costituito una fondazione, Campagna Amica, con cui sono stati attivati circa 9mila punti vendita sparsi nelle piazze d'Italia.
I Gruppi d’Acquisto e il Gruppo d’Offerta di Campagna Amica
Campagna Amica promuove e sostiene nei suoi mercati e con le sue aziende i Gruppi d’acquisto. In questo caso il comparto alimentare diviene preminente anche se i prodotti proposti possono anche essere di natura diversa. Molti Gruppi d’acquisto già comprano i prodotti di molte aziende agricole accreditate nell’albo di Campagna Amica, quindi sono già presenti sui territori dei gruppi d’offerta (gruppi di aziende) che Campagna Amica sta strutturando. Alcuni Gruppi d’acquisto sono legati nella prima fase di avviamento alla presenza dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica. Questi, infatti, diventano il luogo di raccolta e smistamento dei prodotti a fronte della prenotazione effettuata dagli aderenti ai Gruppi d’acquisto. In tal senso il fatto che i produttori agricoli si riuniscono in un mercato può diventare vantaggioso perché gli ordini non devono raggiungere più un quantitativo così elevato da giustificare lo spostamento del furgone del produttore per la consegna. Quello che si compone perciò all’interno di un mercato di Campagna Amica è un vero e proprio gruppo d’offerta nel quale i produttori hanno la possibilità di costituire un catalogo di prodotti fruibile dal Gruppo d’acquisto e dal singolo. Se la scelta di vendere i propri prodotti ai Gruppi d’acquisto non sembra comportare variazioni di rilievo nell’offerta, vendere ai Gruppi d’acquisto comporta certamente delle modifiche nell’organizzazione aziendale: dal ripensamento degli spazi (punto vendita aziendale, confezionamento, stoccaggio, mezzi di trasporto) alla comunicazione (sito web/forum, mail, telefono), fino all’apertura dell’azienda all’esterno (visite aziendali e altre attività che richiedono accompagnamento/assistenza). In alcuni casi, inoltre, ci sono state variazioni nella gestione delle risorse lavorative: può essere necessario ad esempio riorganizzare il personale ed impiegarlo in maniera differente, o addirittura potenziare la forza lavorativa in azienda, destinando le nuove risorse al magazzino, al trasporto, alla comunicazione. Un vantaggio generale è relativo all’abbattimento degli sprechi. Più del 33% del cibo prodotto viene buttato nella pattumiera. Questo non è accettabile sotto tutti i punti di vista.
Il problema nasce anche nella sovrapproduzione di cibo che, se da un lato con il l’utilizzo costante di sistemi di coltivazione intensivi riduce la fertilità del terreno, dall’altro genera quantità inutilizzate di cibo che essendo deperibili devono essere smaltite con costi assai elevati. Una delle soluzioni sta nel produrre in modo più razionale, cioè solo ciò che può essere consumato, con l’attenzione a non cadere nelle trappole commerciali che determinano i prezzi. I Gruppi d’acquisto possono essere una chiave di questa soluzione. Infatti, all’inizio dell’annata i produttori devono programmare che cosa seminare nei loro campi. Se in quel momento il produttore ha la certezza di poter vendere dei quantitativi di prodotto a dei Gruppi d’acquisto che hanno pagato sempre in modo regolare, potrà seminare seguendo un criterio che riduce molto gli sprechi. Ciò perché in genere tutta la produzione viene venduta e i produttori non sono in balia di un mercato globale che un giorno compra e il giorno seguente no, perché magari il prodotto quel giorno proviene da un altro continente. Il sistema di vendita e la distribuzione dei prodotti che si sono instaurati tra produttori e consumatori rendono l’intero sistema più sostenibile ed “efficiente”. Le verdure, raccolte giornalmente, sono suddivise in un numero di buste o cassette equivalente al numero di ordini ricevuti. Le buste contengono un po’ di tutto: carote, insalate, verdure da cuocere, cipolle, insomma, quello che occorre a una famiglia per la settimana, ma anche sulla base della disponibilità, cioè di quello che l’azienda produce in quel dato momento, in una parola… di stagione. Gli sprechi praticamente sono azzerati perché tutto quello che viene prodotto finisce nelle buste dei consumatori e per l’agricoltore, se le previsioni di inizio anno sono state corrette (di norma avvengono sulla base dei volumi ordinati e venduti l’anno precedente), non c’è nulla che non valga la pena di essere raccolto. Il problema che non è mai stato preso in considerazione da questo modello è il valore della tracciabilità delle materie prime e dei prodotti venduti che si basano solo ed esclusivamente sulla “fiducia” che l'intermediario Coldiretti con il marchio Campagna Amica ha instaurato con i suoi associati e clienti.
Oggi nell'era di “Internet of Farming” non è sufficiente la parola scritta, ma possiamo affidarci alle tecnologie Distributed Ledger (DLT), sistemi basati su un registro distribuito in cui tutti i nodi di una rete possiedono la medesima copia di un database che può essere letto e modificato in modo indipendente dai singoli nodi, semplificando e riducendo le tempistiche per la redazione dei documenti e riduce al minimo l’errore umano: l'applicazione della reale disintermediazione dello smart farming system italiano. Tra le tecnologie Distributed Ledger (DLT) il protocollo blockchain rappresenta un nuovo modello organizzativo e informatico che il comparto foodtech italiano sta scoprendo apprezzando per la garanzia di trasparenza della filiera che offre e l'efficacia alla lotta contro la contraffazione e l'italian sounding. Il sistema di business intelligence proposto dal team di INNOVABILITA prevede l'utilizzo condiviso di una multipiattaforma digitalizzata che custodisce e consente la verifica delle transazioni tra gli utenti di un sistema crittografato. I dati di valore una volta caricati sul sistema dagli operatori abilitati, non possono essere alterate, modificate o annullate. Questo riduce il rischio di corruzione, massimizzando la trasparenza aziendale e migliorando l’immagine del marchio, in particolare all'interno di una filiera di produzione corta e di eccellenze Made in Italy.
Gli operatori abilitati ad utilizzare e implementare le tecnologie DLT basate su protocolli blockchain mettono a disposizione degli utenti delle interfacce che permettono di migliorare la comunicazione con il cliente, rendendola più semplice e diretta e avviando processi di prevendita dei prodotti finali, quella che in un ambito fintech viene definita TOKENOMICS. Nel 2021 progetti attivi per lo sviluppo e l’implementazione di Distributed Ledger sono già oltre 500 in crescita del 50% rispetto al 2020 e gli investimenti in Italia hanno raggiunto i 30 milioni di euro, in crescita del 100% rispetto al 2020. L’implementazione di queste tecnologie viene effettuata in diversi settori, il settore agroalimentare vale il 30% degli investimenti. Dopo anni di sperimentazione in altri settori oggi la tecnologia è pronta per l'adozione dagli operatori del settore agroalimentare di qualità del Made in Italy a vantaggio non di tutto il sistema dell’agrifood ma solo quello di qualità, del Made in Italy quello autentico e con un riferimento specifico al nostro Paese che, negli ultimi anni, vede riconosciuto il settore agroalimentare come uno dei principali motori dell’economia, con un potenziale sviluppo ulteriore ed agroecologico possibile anche grazie alle tecnologie digitali. Le difficoltà incontrate da diverse realtà agricole italiane, legate all’accesso al credito, alla mancanza di know-how e ai margini poco remunerativi offerti dall’attuale filiera agroalimentare non sono allineate con la richiesta sempre più forte di eccellenze enogastronomiche locali di cui le stesse sono produttrici. Molte aziende innovative legate alle tecnologie come machine learning, intelligenza artificiale, blockchain, business intelligence, realtà virtuale possono oggi favorire le fattorie di piccole dimensioni aiutandole a portare cibi di élite sulle tavole di chi è disposto a pagarle di più. Ma i problemi di come l’agricoltura di qualità italiana possa sopravvivere al nuovo foodsystem 4.0 vanno oltre, e forse è bene avere uno sguardo critico che non cerchi nella tecnologia del momento la panacea per ogni male. Il protocollo blockchain, nello specifico, non è una tecnologia unica è un processo abilitante nuove tecniche commerciali e produttive nella quale - in questa fase storica- in molti ripongono speranze di grandi rivoluzioni ed è tra quelle che non fanno paura: viene normalmente considerata tutto sommato una “tecnologia buona”, a differenza di altre come i robot, che continuano ad avere un’aura negativa. Con l’enfasi tipica dei titoli di giornale, l’Economist ha definito in tempi non sospetti il protocollo blockchain “the trust machine” cioè la macchina della fiducia, per enfatizzare la possibilità che, all’interno di un’architettura distribuita e decentralizzata - dove tutti possono verificare e nessuno da solo detiene il potere del controllo - ci si possa fidare di più. Per questa (astratta) attitudine, il protocollo blockchain viene visto come lo strumento capace di sostenere la lotta alla corruzione, combattere traffici illegali, avviare processi virtuosi di lotta alla povertà e molto altro. Il tema della fiducia è interessante perché viene venduto come un attributo incondizionato della tecnologia DLT. Noi di INNOVAIBLITA proponiamo modelli differenti di fare economia civile ed etica – dove “smart contract” artigianali prendono lo spazio di contratti notarili decentralizzando la corresponsabilità di ogni operatore economico - perché siamo convinti che l'alibi della complessa prossimità dovuta alle complicanze di un periodo di infodemia dell'infosfera e alla difficoltà mentale di poter stabilire legami fiduciari disintermediati non potrà fermare l'accelerazione del processo di digitalizzazione prima e di virtualizzazione poi di tutto il foodsystem mondiale, ma in particolare quello italiano che deve ripartire applicando un nuovo paradigma e rapporto con l'ambiente e la propria terra.
IL VALORE DELL'ALGORTIMO DELLA FIDUCIA
IL concetto di base DELL'ALGORITMO DELLA FIDUCIA E' QUELLO che la tecnologia DLT può oggi permettere finalmente di rendere immutabili i dati delle produzioni di qualità delle produttrici e dei produttori italiani e garantire che ci sia corrispondenza dei dati di valore estrapolati nel mondo reale e rappresentati in quello digitale con l'opportunità di poterli monitorare lungo tutto il processo di produzione e distribuzione della materia prima sino alla trasformazione in prodotto finale, in questo caso creme sane, perché naturali, garantite dai produttori delle materie prime. Per controllare e tutelare le materie prime vegetali dalla loro genesi al momento dell’incontro con l'utente finale, non esiste uno strumento che di per sé sia garanzia assoluta. La tecnologia DLT e gli strumenti digitali sono dispositivi e applicazioni abilitanti funzionali, ma non può modificare tutte quelle condizioni che, insieme, sono necessarie per raggiungere l’obiettivo desiderato cioè la garanzia della qualità del prodotto dalla terra allo scaffale in negozio onlife.
E una delle questioni-chiave sta nell’interpretazione diversa che i differenti attori della catena del valore attribuiscono all’idea
di prodotto di qualità. Per esempio: la tutela dei lavoratori agricoli fa parte di questa idea? La provenienza dei semi è un elemento
che qualifica la qualità? Le modalità adottate dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) per abbattere i prezzi dei prodotti appartengono al concetto condiviso di qualità del prodotto? Noi abbiamo provato a tracciare una linea e determinare un modello unico e garantito da chi fornisce la materia prima: HYPER un aggettivo innovativo che caratterizzerà i nuovi modelli di business ecosostenibili e basati su concetti chiave come la collaborazione e la corresponsabilità, elementi quasi desueti per la nostra cultura occidentale liberista e capitale-centrica.
Gli attori che appartengono ALLE CATENA DI VALORE DEL MADE IN ITALY esprimono, infatti, interessi diversi spesso anche contrapposti. Un ruolo molto forte lo giocano, per esempio, i big della GDO che stanno sperimentando infrastrutture e applicazioni informatiche basate su protocolli blockchain a tutela del “loro consumatore”, che non sono necessariamente anche a tutela dei lavoratori dell’agricoltura o delle imprese di trasformazione. In questi casi riscontriamo già il paradosso DELL'ALGORITMO della fiducia che viene proposta agli attori della catena produzione-trasformazione-distribuzione-vendita-acquisto che non sono abituati a collaborare tra loro quanto, piuttosto, a competere. E allora tutta questa enfasi sull’applicazione di una tecnologia che evidenzia ancora vari ordini di problemi (anche di tipo tecnologico) è giustificata? Dove può trovare la sua minima applicazione funzionante?
IL VALORE DELLE FILIERE CORTE NELL'IPERECONOMIA
I meccanismi di comunicazione simbolica hanno svolto un ruolo significativo nel processo evolutivo consentendo a piante, animali e umani di scambiare esperienze individuali e trasformando così raccolte di organismi relativamente isolati in sistemi cognitivi distribuiti adattivi. Il processo biomimetico è avvenuto grazie all'osservazione della natura e dell'ambiente circostante dell'essere umano capace di analizzare e raccogliere i dati aggregati sui valori comparativi di beni e servizi ai partecipanti con interessi e razionalità limitati, i meccanismi di segnalazione economica danno loro incentivi per adeguare i loro sforzi di consumo e produzione in conformità con le esigenze collettive di tutti gli altri agenti nel sistema.Il modello suggerito di un sistema "ipereconomico" combina flussi di informazioni scalari aggregate a livello globale sui prezzi con meccanismi di condivisione delle conoscenze sulle utilità situazionali di gruppi di risorse come il nostro ecosistema del luppolo della Romagna. L'IPERECONOMIA include i processi abilitanti dall'adozione della business intelligence integrata a sistemi di machine learning, AI, VR, blockchain per sviluppare reali modelli di economia sostenibile che passano dal mondo digitale per distribuire dati di valore [asset] garantiti da un sistema crittografato trasferendoli nel mondo reale sotto forma di prodotti di qualità, sani. Sostenibili, di VALORE
La maggior parte dei progetti sviluppati su piattaforme blockchain e distributed ledger [DLT] in Italia è ancora focalizzata su applicazioni legate a processi tradizionali già esistenti (ad esempio riconciliazione dei pagamenti e tracciabilità di filiera della grande distribuzione su database privati). In molti casi le aziende scelgono di partire da un’applicazione semplice che possa raccogliere numerosi partecipanti per poter in seguito sviluppare soluzioni più innovative. La maggior parte dei progetti sviluppati da aziende e dalla pubblica amministrazione usa piattaforme application specific, rendendo ancora difficile l’interoperabilità tra le applicazioni e riducendo le potenzialità offerte dagli ecosistemi basati su protocolli blockchain. Le applicazioni più numerose sono realizzate per facilitare la condivisione e il coordinamento dei dati fra diversi attori per evitare che insorgano divergenze (59% dei progetti lanciati dal 2016 a oggi). Quasi un quarto ha l’obiettivo di migliorare la verificabilità dei dati da parte di altri attori dell’ecosistema o di terzi (24%), in particolare nell’agroalimentare per garantire la tracciabilità delle materie prime lungo la catena di approvvigionamento. Il 13% utilizza i crypto asset abilitati dalle piattaforme blockchain per scambiare denaro o altri asset. Il 4% è dedicato alla realizzazione di processi affidabili e verificabili in modo pubblico.
Per sfruttare appieno le potenzialità degli ecosistemi blockchain sono necessari alcuni elementi e competenze da migliorare. Gli ecosistemi devono poter accogliere nuovi partecipanti necessari all’interno di un’applicazione e le piattaforme, sia permissionless sia permissioned, devono diventare più affidabili sia in termini di scalabilità che di sicurezza. Poi le applicazioni devono potersi integrare con i sistemi informativi attualmente in uso nelle aziende, devono poter sfruttare alcuni servizi abilitanti come l’identità digitale e il cash on chain e devono poter contare su normative chiare e legate al concetto di “sovranità digitale” in grado di lasciare aperta la possibilità di innovarsi, sistemi aperti e interoperabili con altre tecnologie ancora oggi inesplorate come la realtà virtuale e i computer quantistici.
NUOVI MODELLI DI FARE ECONOMIA AGRICOLA 4.0
In un altro Stato dove si parla un'altra lingua e l'economia gira diversamente dalla nostra – per questo motivo hanno deciso di uscire dall'Unione Europea - viene definito il
capitalismo degli stakeholder. Nel nostro Bel Paese
la filiera professionale del luppolo italiano è un sistema innovativo che tratta il vero Made in Italy e rappresenta un innovativo modello di fare economia agroecologica le imprese di persone sono orientate ad ascoltare gli interessi di tutti i "portatori di interesse", i cosiddetti stakeholder. In un contesto foodtech in costante evoluzione dalla digitalizzazione stiamo passando all'automazione dei processi in campo, con trattori con guida assistita a distanza, sensoristica in grado di dosare il livello di irrigazione delle piante. Tra i principali stakeholder vi sono clienti, fornitori, dipendenti, azionisti e cooperanti di una cooperativa agricola che ha deciso di sviluppare la luppicoltura in Romagna con l'obiettivo di dare vita al primo Distretto del cibo del luppolo italiano. Lo scopo di una filiera professionale e intelligente è creare valore a lungo termine e aumentare il valore del capitale umano per un benessere collettivo. I sostenitori del
capitalismo degli stakeholder
sono convinti che seguire gli interessi di tutti i portatori di interesse sia molto complesso ma al contrario dei soli "padroni" è essenziale per il successo e la salute a lungo termine di qualsiasi azienda o filiera di qualità. Il capitalismo degli stakeholder rappresenta una scelta etica e una decisione aziendale ricca di buon senso allo scopo di migliorare le condizioni di lavoro e di produzione di tutto il comparto agro-alimentare. Le filiere dovrebbero seguire gli interessi di tutti i portatori di interesse. L'attenzione si deve concentrare sulla creazione di valore a lungo termine, non semplicemente sul miglioramento del valore di chi amministra. E' una innovazione di processo che prevede la co-creazione di un prototipo di smart supply chain della filiera di produzione corta del luppolo Made in Italy partendo dai dati di valore registrati direttamente in campo.
Processi per il progresso sostenibile e non sviluppo sostenibile
Affrontare le problematiche degli sviluppi attuali è una sfida fondamentale per la nostra società in un periodo V.U.C.A. come quello che stiamo attraversando. Far valere il concetto di "progresso sostenibile" nei confronti di un più inflazionato “sviluppo sostenibile”, che accorderebbe il progresso economico, la responsabilità sociale e manterrebbe l'equilibrio naturale del pianeta, è un progetto in cui il settore cosmetico è disposto ad essere pienamente coinvolto se tornerà a rispettare le leggi della natura.
L'applicazione dei principi del “progresso sostenibile” nell’attività economica, implica modifiche dei modelli di produzione e delle pratiche di consumo, una vera e propria trasformazione del “paradigma economico”. Riconoscendo tali sfide e la responsabilità dei propri attori, il settore dei cosmetici biologici e naturali dimostra chiaramente la sua ambizione di andare nella direzione di un reale progresso sostenibile, con l'impostazione di un nuovo standard a livello europeo ed internazionale per cosmetici naturali che superi le concezioni classiche di certificazione centralizzata e che dimostri di essere in grado di corresponsabilizzare ogni singolo operatore della filiera della cosmetica naturale italiana. Per stimolare i processi di produzione e consumo sostenibili, il settore della cosmesi naturale italiana deve tornare a seguire semplici regole, disciplinate dai principi di prevenzione e sicurezza su tutti i livelli della filiera, dalla produzione delle materie prime alla distribuzione dei prodotti finiti. Per noi tali regole rappresentano oggi una base per la co-creazione di “smart contract futuri” che permetteranno di eseguire automaticamente attraverso un software quello che oggi qui vogliamo qui ribadire:
Quest'ultimo punto è la chiave del successo di questa ambizione, considerando le specificità ed i vincoli nella formulazione dei prodotti cosmetici (specialmente rispetto ai prodotti alimentari). Con questa "filosofia verde" e questo desiderio di contribuire attivamente ad un vero progresso sostenibile con il nostro ecosistema capace di dimostrare che oggi possiamo cogliere una grande opportunità di impegnarci tutti a re-definire ed implementare uno standard per il Made in Italy anche grazie ad un uso consapevole degli strumenti digitali e in particolare della tecnologia DLT. Il nostro standard prende in considerazione l'attuale realtà tecnologica tracciando i dati digitali delle produzioni agricole che forniscono le materie prime autocertificate – garantite - sino al processo di acquisto dell'utente finale di questa catena del valore [blockchain] che porterà a sviluppi innovativi ancora oggi imprevedibili.
Per facilitare la traduzione di queste regole a livello di standard, è necessario distinguere cinque categorie di ingredienti contenuti in un prodotto cosmetico (elencati in ordine crescente):
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LA COMPLESSITA' DI UN NUOVA ECONOMIA DIGITALE SI SEMPLIFICA NELLE APPLICAZIONI NEL MONDO REALE
FABRIZIO FANTINI / INNOVABILITA DAO